- Published: 30.01.2018.
Intervju ministrice Pejčinović Burić za Agenziju Novu: „Ue più sicura con ampliamento area Schengen“
Roma, 30 gen 11:58 - (Agenzia Nova) - L’Europa sarà più sicura quando il confine esterno dell’Unione europea diventerà il confine dell’area Schengen: lo afferma il ministro degli Affari Esteri ed Europei della Croazia, Marija Pejcinovic Buric, in un’intervista ad “Agenzia Nova”. “Una delle più importanti priorità della Repubblica di Croazia è l'ingresso nell’area Schengen: stiamo facendo il possibile al fine di adempire alle raccomandazioni rimanenti”, spiega il ministro indicando che in questo processo “abbiamo già avuto l'appoggio del presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker, del Commissario per le migrazioni Dimitris Avramopoulos e dei deputati del Parlamento europeo. Ringraziamo per il sostegno – aggiunge - il ministro degli Esteri Angelino Alfano e per l'aiuto della parte italiana”. Secondo Pejcinovic Buric, “il nostro comune obiettivo è la creazione di un'Ue nella quale tutti i suoi cittadini godono degli stessi diritti e delle stesse opportunità e di garantire e mantenere la sicurezza della stessa Ue e dei suoi cittadini alla luce delle sfide odierne, come il terrorismo e le migrazioni illegali”.
Oltre al tema dell’adesione della Croazia nell’area Schengen, il ministro degli Affari Esteri ed Europei di Zagabria ha affrontato nell’intervista con “Agenzia Nova” anche diversi aspetti centrali nella sua recente visita a Roma, dove ha co-presieduto con il titolare della Farnesina al comitato ministeriale tra i due paesi. “La Croazia e l'Italia condividono una storica amicizia e rapporti di partenariato e di buon vicinato – afferma Pejcinovic Buric -. L'Italia ha sempre offerto un forte appoggio alla Croazia sul suo percorso verso l'integrazione europea, e oggi, la Croazia e l'Italia, come stati membri dell’Ue, della Nato e di altre organizzazioni importanti a livello regionale e internazionale condividono punti di vista e interessi molto simili. Dunque, il coordinamento dei ministri dei due governi rappresenta una piattaforma ottimale per un sistematico miglioramento della nostra cooperazione, per esempio sul piano dell’economia, dell’energia, dell’ambiente, dei trasporti e del turismo”. Il capo della diplomazia croata si dice “convinta, come dimostrano anche le conclusioni della terza riunione del comitato di coordinamento dei ministri citate nella dichiarazione congiunta, che è nell’interesse di entrambe le parti svolgere sessioni di questo tipo il più frequentemente possibile. Così riusciremo a mantenere la dinamica già raggiunta nella cooperazione e daremo impulso alle iniziative concrete di importanza bilaterale ed europea”. “Mi auguro che la prossima riunione si terrà a Zagabria nel 2019”, aggiunge.
Una parte dei rapporti tra Italia e Croazia si sviluppa nei progetti nell’area del Mar Adriatico. Tra questi figura anche la creazione di un terminal per il Gas naturale liquefatto (Gnl) a largo dell’isola di Veglia (Krk), progetto per la cui realizzazione l’Ue ha già stanziato 102 milioni di euro. “Tutti i più importanti progetti energetici della Repubblica di Croazia – assicura il ministro - sono pianificati tenendo conto dei possibili effetti sull’ambiente e sull’ecosistema. Lo stesso principio ci ha guidato nello sviluppo del progetto del terminale Gnl sull’isola di Veglia. Un’attenzione speciale è stata dedicata alla realizzazione dello studio degli effetti sul sistema ambientale, il quale è stato approvato da una commissione di esperti alla fine del 2017 e in questo momento è sottoposto al dibattito pubblico. L’atto finale sulla sostenibilità del progetto, nel senso del suo effetto sull’ambiente, sarà in linea con i criteri più elevati della legislazione europea”. Secondo Pejcinovic Buric, inoltre, “è importante sottolineare che lo studio elaborato ha dimostrato che l’effetto sull’ambiente, durante l’operatività del terminale Gnl, è accettabile e attesta un rigoroso mantenimento delle misure per la difesa dell’ambiente”. “La Repubblica di Croazia continuerà a impiegare tutti gli sforzi necessari per minimizzare l’effetto sull’ambiente in tutte le fasi future dell’evoluzione del progetto”, conclude.
Passando poi al tema dello sviluppo delle infrastrutture, il ministro degli Esteri di Zagabria evidenzia che “in questo momento la Croazia si trova su due corridoi della rete principale: quello Mediterraneo e quello del Reno-Danubio, e le priorità infrastrutturali del paese sono proprio lungo questi due percorsi”. “Vogliamo inoltre allargare le reti essenziali dei corridoi europei di trasporto – prosegue -, innanzitutto di quello Mediterraneo verso il porto di Ploce, attraverso la regione di Lika verso i porti della Dalmazia centrale, e poi il corridoio Mediterraneo-Baltico dove vogliamo vedere Rijeka (Fiume) come parte integrante del corridoio. Continueremo ad appoggiare anche l’allargamento delle reti Ten-T verso il sud est europeo, perché i collegamenti con i paesi confinanti con l’Ue contribuiscono all’integrazione dei paesi stessi”.
“Per quanto riguarda i grandi progetti infrastrutturali - aggiunge il ministro - vorrei in prima linea sottolineare il progetto di realizzazione del ponte di Sabbioncello che per la Croazia ha un grande significato, sia al livello di trasporto ed economico, ma anche un significato politico”. Come conferma Pejcinovic Buric, “il rafforzamento della connessione dei corridoi marittimi e stato uno dei temi più importanti della sessione del coordinamento dei ministri” Italia-Croazia svoltosi nei giorni scorsi alla Farnesina. “Abbiamo sottolineato l’importanza delle linee dirette dei traghetti e altri tipi di linee navali tra la costa italiana e quella croata”, spiega il ministro indicando che ciò “darebbe un ulteriore impulso al collegamento dei nostri porti, delle nostre economie, così come al rafforzamento della cooperazione nell’ambito del turismo e dei rapporti di buon vicinato tra i nostri due paesi. Abbiamo l’intenzione di avviare il collegamento dei porti del nord Adriatico, per esempio di Pola e Umago con Trieste o Venezia, per poi continuare con altri porti croati e italiani”.
Passando alla situazione della sicurezza nei Balcani, il ministro degli Esteri croato afferma che “l'allargamento dell'Ue e della Nato è di cruciale importanza per la stabilità dell'Europa sudorientale e al contempo rappresenta un investimento nella pace, nella sicurezza e nella stabilità in Europa. “Perciò – aggiunge - appoggiamo fortemente l'allargamento del'Unione europea verso quest'area e credo fermamente che si tratti di un interesse strategico per l'Ue. Con la politica dell'allargamento, attraverso il suo potere trasformativo, si creano paesi amministrative meglio, dove l'economia cresce, viene rispettato lo stato di diritto e i valori europei sono condivisi”. A suo parere, “questa la chiave: è importante che nell'intero processo di integrazione promuoviamo in modo costante le riforme democratiche, i massimi standard nello stato di diritto, la convergenza economica e i rapporti di buon vicinato. Altrimenti, ogni stabilità raggiunta non è sostenibile“. Secondo Pejcinovic Buric, inoltre, "bisogna tenere presente anche il fatto che la maggioranza di quei paesi sta attraversando una transizione postconflittuale. Le questioni che derivano dai conflitti passati rimangono tra le sfide cruciali della stabilità dell'Europa sudorientale e devono essere risolte durante il processo di integrazione nell'Ue”.
Tra le questioni aperte nella regione del sud est Europa, una interessa due Stati membri dell'Ue per quanto riguarda la demarcazione dei confini marittimi tra Croazia e Slovenia. Il ministro degli Esteri Pejcinovic Buric sottolinea che Zagabria e Lubiana “hanno rapporti tradizionalmente amichevoli”. “Con la disgregazione dell'ex Jugoslavia, abbiamo entrambi ereditato alcune questioni irrisolte, tra le quali c'è anche la questione di stabilire il confine di Stato. Sebbene sia la Croazia che la Slovenia nelle loro decisioni fondamentali sull'indipendenza abbiano confermato la posizione secondo cui il confine tra le ex repubbliche diventasse il confine tra i nuovi stati, e la Slovenia, all'epoca per le necessità del suo riconoscimento, avesse dichiarato di non avere controversie territoriali con i vicini, con il tempo la Slovenia ha modificato la propria posizione e ha iniziato ad aumentare le proprie richieste in particolare per quanto riguarda il confine marittimo”.
Come ricorda Pejcnovic Buric, “la Slovenia ha per anni rallentato e bloccato i negoziati di adesione croata per l'ingresso” e la Croazia era favorevole ad una risoluzione della disputa davanti alle istanze internazionali permanenti. “La Croazia – afferma - è entrata nell'arbitrato ad hoc per la soluzione della disputa in buona fede. Purtroppo, nel 2015 sono state pubblicamente rivelate le audioregistrazioni dell'agente slovena nel procedimento e dell'arbitro nominato dalla Slovenia, i quali stavano concordando la strategia per influenzare gli altri giudici e aggiungevano prove nel fascicolo. In quel modo ci siamo trovati in mezzo a un inaudito scandalo giuridico internazionale. Il parlamento Croato nel 2015 ha votato all'unanimità la decisione per l'uscita dal processo di arbitrato e da allora è diventato chiaro che quel processo non può portare alla soluzione per il confine”.
“La Croazia e la Slovenia come membri della Nato e dell'Ue devono fare da modello per gli altri stati dell'Europa sudorientale, che aspirano alle integrazioni euroatlantiche”, afferma il ministro, secondo cui “ciò significa che dobbiamo essere capaci di risolvere da soli le nostre questioni bilaterali”. Secondo Pejcinovic Buric, infatti, “un'importante numero di stati membri dell'Ue e della Nato ha la questione del confine irrisolta, ma la discutono a livello tecnico senza ostacolarsi a vicenda nelle organizzazioni regionali o internazionali”. “Neanche la Commissione Europea fa da mediatore in alcun modo visto che ciò non rientra nelle sue competenze giuridiche”, evidenzia il capo della diplomazia croato, precisando che nonostante lo scandalo relativo all'arbitrato, “la Croazia ha teso la mano alla Slovenia” proponendo la soluzione di un “protocollo sul confine per soluzione sostenibile, che sarebbe accettabile a entrambi i paesi”.
L'ultima questione affrontata nell'intervista ad “Agenzia Nova” è relativa alla fine dell'attività del Tribunale penale per i crimini nell'ex Jugoslavia. “La Repubblica di Croazia – afferma – è stata tra Stati che si sono impegnati fortemente per l'urgente istituzione e l’inizio dei lavori del Tribunale, in quanto il nostro obiettivo principale era la protezione dei cittadini croati dalla brutale aggressione in atto e durante la quale si sono verificate numerose gravi violazioni del diritto umanitario internazionale. La Croazia ha avuto fiducia nel Tribunale come mezzo della punizione dei responsabili di tali delitti, nonché come mezzo della prevenzione dei delitti futuri. Processando 161 persone, il Tribunale ha contribuito fortemente alla lotta contro l’impunità dei delitti internazionali più gravi e all’accertamento delle responsabilità per la loro commissione. In questo senso, con tutti suoi importanti meriti, ma anche con dei difetti che sono stati notati, la Corte in qualche modo ha servito anche come indicazione per la fondazione del Tribunale penale internazionale permanente”.
Secondo quanto afferma Pejcinovic Buric, il Tribunale penale per i crimini nell'ex Jugoslavia è riuscito ad accertare “una serie di gravi violazioni del diritto internazionale umanitario commesse durante l’aggressione contro la Croazia, nonché l’associazione criminale di funzionari serbi, con a capo Slobodan Milošević, allo scopo di creare uno stato serbo 'etnicamente pulito' sul territorio della Repubblica di Croazia con espulsione della popolazione croata e di altre etnie non serbe”. A parere del ministro croato, “questi accertamenti indubbiamente corrispondono alle esperienze dei cittadini croati in quegli anni difficili. Nel contempo – afferma -, la Corte ha valutato indirettamente anche il modo in cui la Repubblica di Croazia si è difesa dall’aggressione, non condannando nessun croato per la violazione del diritto umanitario internazionale nel corso della guerra in Croazia (tutti gli accusati sono stati assolti, mentre il processo a due di loro è stato affidato alla giustizia croata). Ci dispiace che Slobodan Milošević, il principale colpevole e promotore delle guerre in Croazia e in Bosnia Erzegovina, non abbia vissuto fino ad avere la sua condanna dal Tribunale Penale internazionale per l'ex-Jugoslavia”.
Per quanto riguarda l’ultima sentenza, relativa al conflitto in Bosnia Erzegovina e conclusasi con il suicidio in diretta dell'ex generale croato Slobodan Praljak, “vi sono menzionate persone ossia alcuni funzionari croati che non sono stati né accusati né processati dalla Corte, e che non sono stati parti coinvolte in questo processo. Lo stesso Consiglio del Tribunale aveva confermato questo fatto ancora nel 2016“. Secondo il ministro, per ottenere la riconciliazione regionale la base per questo sviluppo “non è l'equiparazione forfettaria delle colpe per gli scontri bellici sul territorio della ex Jugoslavia” ma “un'inequivocabile determinazione dei fatti relativi alle guerre” e una “fondata comprensione delle loro cause e delle conseguenze”. “Come disse papa Giovanni Paolo II: non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono; che apre le porte alla reciproca comprensione, rispetto e fiducia”, conclude il ministro. Per quanto riguarda la situazione della Bosnia Erzegovina a oltre 22 anni dagli accordi di pace di Dayton del 1995, il ministro di Zagabria sottolinea che “i croati in Bosnia Erzegovina sono uno dei tre popoli costitutivi”. “La Bosnia ed Erzegovina – spiega - deve essere guardata in modo completo e globale alla luce del suo specifico assetto politico, storico e sociale. La principale caratteristica della Bosnia ed Erzegovina è che essa è da sempre stata multinazionale e multiconfessionale. Oggi secondo l’accordo di Dayton e secondo la Costituzione della Bosnia ed Erzegovina, il Paese ha tre popoli costitutivi di uguali diritti: croati, serbi e bosgnacchi, e altri cittadini”.
Secondo Pejcinovic Buric, “il pieno potenziale della Bosnia Erzegovina può essere realizzato solamente attraverso una riforma politica sostenibile che permetta l’uguaglianza reale dei tre popoli costitutivi in modo che abbiano e ottengano gli stessi diritti. Purtroppo – precisa -, oggi i croati non hanno gli stessi diritti degli altri due popoli. Le modifiche legislative che assicurino l’uguaglianza dei popoli costitutivi sono una conditio sine qua non per il futuro della Bosnia Erzegovina”. In questo senso, conclude, “la nostra ferma opinione è che ai croati deve essere permesso di eleggere i loro legittimi rappresentanti nella presidenza della Bosnia Erzegovina e nella Camera dei Popoli del Parlamento federale, così come fanno gli altri due popoli costitutivi, onde evitare che un popolo elegga i rappresentanti dell’altro popolo”. Il ministro degli Esteri di Zagabria indica comunque che “il futuro della Bosnia Erzegovina lo vediamo all’interno dell’Ue e della Nato” in quanto ciò è “nell’interesse della stabilità sia delle Bosnia ed Erzegovina che dell’intera Europa sudorientale” a patto che venga assicurata “la stabilità politica e istituzionale del paese”. (Pav)
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